Benvenuti cari pellegrini.
Sì, hai letto bene: oggi saluto i voi che ci sono in te!
Comunque, per semplicità mia, e probabilmente anche tua (pardon, vostra!), per il resto dell’articolo mi rivolgerò all’io che sta leggendo.
Caro io che stai leggendo, ti è mai capitato di andare su tutte le furie per poi, una volta calmato, chiederti: «Ma ero proprio io quello?», oppure, in un momento di pericolo serio e improvviso, fare qualcosa che, rivedendola anche solo dopo qualche minuto, ti ha fatto pensare: «Impossibile! Non posso averla fatta io». O ancora di rileggere dopo qualche tempo qualcosa che hai scritto, o di rivedere qualcosa che hai dipinto, guardarla perplesso e chiederti: «Che buffo, non sembra neppure che l’abbia scritta (o dipinta) io!»
Ebbene tutti quegli io che stentiamo a riconoscere sono parti di noi che se ne stanno sopiti buoni buoni (ma nemmeno troppo) fino a quando, in certe condizioni, spuntano fuori e si mettono in azione.
Se adesso stai pensando: «Eh no mio caro! Io sono una persona tutta d’un pezzo! So perfettamente chi sono e sono sempre fedele a me stesso!», allora permettimi di farti qualche domanda:
- Ti comporti alla stessa maniera sia al lavoro che a casa?
- Ti comporti alla stessa maniera sia quando guidi in mezzo al traffico e sei in ritardo che quando stai portando la tua compagna (o il tuo compagno) al ristorante per una cena romantica?
- Tieni sempre lo stesso comportamento sia quando sei sano che quando sei malato?
- Hai lo stesso comportamento sia quando sei in compagnia della tua compagna (o compagno) che quando fai serata con gli amici (o amiche)?
Spero tu abbia risposto di no a quasi tutte le domande altrimenti potresti stare sperimentando qualche problema di relazione. Infatti prova a pensare a cosa succederebbe se un manager (uso il maschile ma l’esempio vale anche per una donna in carriera) tornasse a casa dalla moglie, la salutasse con una stretta di mano, e le dicesse con tono autorevole, magari dando un’occhiata all’orologio: «Ho bisogno che la cena sia in tavola per le 21.30 che poi ho una riunione con i figli. E mi raccomando, voglio anche un grafico che mi faccia capire a colpo d’occhio i tempi impiegati per cucinare ciascuna pietanza e le relative calorie in percentuale al fabbisogno giornaliero.»
Animo Molteplice
Nella speranza che tu abbia almeno cominciato a valutare l’opzione che in te albergano molti io, voglio tranquillizzarti: è assolutamente normale. Roberto Assagioli, padre della Psicosintesi ha definito questa normale condizione dell’essere umano Animo Molteplice.
Prova a pensare all’essere umano come a un giardino, che, appena nato, ha in sé tutti i semi possibili; quelli della gioia, della rabbia, del coraggio, della paura, dell’odio, dell’amore e così via; tutti appunto. Questo di per sé è un bene; infatti la paura ha la funzione di proteggere l’involucro che noi chiamiamo corpo dalle insidie del territorio circostante, la rabbia ha quello di difendere il nostro spazio vitale e via discorrendo.
Inoltre ogni seme, come fanno tutti i semi del resto, ha la caratteristica di attecchire solo quando trova un terreno fertile. Se uno cresce in un ambiente ostile è possibile che prevalgano nel suo animo rabbia e paura. Se invece è cresciuto in un contesto dove lo hanno amato e incoraggiato probabilmente avrà sviluppato la gioia, l’amore e il coraggio. Siccome nella vita spesso il terreno cambia, è quasi certo che in noi avranno dato frutto molti dei semi che avevamo disposizione al momento della nascita.
Ciascuno di questi frutti, spesso molto diversi o addirittura contrastanti tra di loro, sono stati definiti da Carl G. Jung con il termine persona che significa maschera. Secondo il famosissimo psicologo svizzero la persona è il mezzo necessario per far interagire il nostro vero Io con le situazioni del mondo esterno con le quali esso si deve confrontare.
È quindi naturale e auspicabile che l’essere umano, diventando adulto, abbia sviluppato le maschere necessarie per far fronte alle varie necessità che si trova a vivere quotidianamente.
Il problema però insorge quando non siamo consapevoli di questo meccanismo e ci crediamo uno solo. Cercherò di spiegartelo con un paio di esempi tratti dalla mia esperienza.
C’è stato un periodo nella mia vita in cui mi sono convinto di essere un informatico. Infatti mi presentavo sempre più o meno alla stessa maniera: «Ciao, mi chiamo Luca e sono un informatico.» Il problema è che ad un certo punto mi sono talmente convinto di essere il professionista informatico che quando tornavo a casa cercavo di risolvere i problemi relazionali come se stessi scrivendo un programma per computer.
Ti porto un altro esempio: da piccolo ho ricevuto un’educazione cattolica piuttosto severa e mi sono convinto di essere un bravo bambino e che solo i bravi bambini sono degni di amore. Quindi ho imparato a non arrabbiami quasi mai, facevo quasi sempre quello che la gente si aspettava da me, evitavo quasi sempre gli scontri. La parole chiave qui è il quasi. Infatti, di tanto in tanto sbroccavo e urlavo contro la mia compagna, spaccavo cose, nel traffico inveivo come un ossesso contro chi osava rallentarmi. E non solo non capivo il perché, ma a stento mi rendevo conto di aver smesso di essere il bravo bambino per qualche istante e di essere diventato un orco. E quello che era più deleterio era che non diventavo un orco con chi se lo sarebbe meritato, ma con chi mi voleva bene. Insomma, sbagliavo ad usare la maschera della rabbia. O, meglio ancora, la maschera della rabbia si indossava quando lo riteneva più opportuno, senza che l’avesse deciso il mio vero Io.
«Bene Luca!» starà gridando uno dei tuoi io. «E adesso che ho scoperto che non sono solo in casa, cosa me ne faccio di tutti gli altri?»
Comincia a conoscerli! Cerca di capire chi c’è in casa e chiedi loro che cosa vogliono. Dopodiché fai guidare la macchina all’autista, aggiustare il rubinetto che perde all’idraulico e amare il tuo partner all’io romantico che c’è in te (ti sconsiglio di far guidare tua moglie dall’autista e far amare la tua macchina dal romantico. All’idraulico…beh è sempre bene stare attenti all’idraulico quando si aggira per casa senza che noi lo sappiamo, soprattutto quando non aggiusta lavandini!)
Eccoci finalmente all’esercizio
Per cominciare a fare l’inventario dei tuoi tanti io prendi un foglio di carta A4 bianco, scrivi come titolo la domanda CHI SONO IO? e sotto comincia a scrivere IO SONO… e di seguito aggiungi quello che ti viene in mente, senza pensarci. Non preoccuparti se escono cose che ti sembrano assurde o irragionevoli. Vedrai che con il tempo assumeranno un senso ben preciso.
Scrivi quanti più IO SONO… possibile. Quando senti che il flusso si è esaurito, smetti e riprendi il giorno successivo. Fai questo esercizio tutti i giorni per almeno quindici giorni di seguito. Non preoccuparti se una giornata ti succede di scriverne solo due o tre. L’importante è che ti concedi almeno dieci minuti per pensarci.
Durante questi quindici giorni porta con te un blocchetto per gli appunti e una penna o una matita; potrebbero venirti in mente altri io proprio mentre stai facendo tutt’altro. Fai in modo di appuntarteli subito altrimenti potresti perderne le tracce e ritrovarli potrebbe essere faticoso (soprattutto se hai una casa grande e per lo più inesplorata).
Finita questa prima parte (già, ce n’è anche una seconda!), conserva il foglio (o i fogli) che hai riempito e trascrivi, bello in grande, il primo io come titolo su un altro foglio bianco. Poi sotto scrivi la domanda COSA VUOI? (se preferisci puoi scrivere QUAL È IL TUO SCOPO/OBIETTIVO?). Poi segui le modalità dell’esercizio precedente, iniziando però la frase con IO VOGLIO… (o IL MIO SCOPO È…). Fallo per una settimana, per ogni io.
Chi starà gridando adesso sarà probabilmente il tuo io pigro:«COSA? Ma Luca! È una cosa lunghissima!»
Già, lunga tutta una vita, caro viandante. D’altra parte, cos’è che devi fare di così importante in questa vita? (ooops scusa, questa è un’altra domanda.)
Buon divertimento e alla prossima, se ti va.
P.S. Ricordati di farmi sapere come sta andando, magari scrivendo dei commenti nello spazio qui sotto!
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